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Quella dell’Ortigara fu una delle più cruente e Quella dell’Ortigara fu una delle più cruente e terribili battaglie mai combattute nel corso della Prima Guerra Mondiale. Le perdite furono altissime, più di 25.000 unità per il Regio Esercito e più di 8.000 per quanto riguarda le truppe austro-ungariche.

La 6ª armata del Generale Ettore Mambretti diede prova di tenace resistenza nei confronti dei contrattacchi dell’esercito nemico. Per venti giorni, sull’Ortigara, si è consumato ininterrottamente il sacrificio di Alpini, Fanti, Bersaglieri, Granatieri, Artiglieri, Genieri, soldati dei servizi logistici, il cui spirito fu messo a durissima prova. 

Nonostante la sconfitta militare a causa di lacune organizzative e strategiche, la Battaglia dell’Ortigara servì a frenare la opprimente minaccia nemica verso la pianura vicentina contribuendo a impegnare nel settore trentino una notevole massa di soldati austriaci a tutto vantaggio delle operazioni su altri fronti.

Nel settembre 1920, in occasione della sua prima adunata nazionale, la neonata Associazione Nazionale Alpini eresse sul Monte Ortigara un’alta colonna spezzata su un solido basamento quadrangolare con incise tre parole: «Per non dimenticare».

Autore: Erika Baini @erika_baini

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#dossierdifesa #primaguerramondiale #grandeguerra #alpini #monteortigara #esercitoitaliano #regioesercito #italianarmy #associazionenazionalealpini
Giovanni Frignani nasce nel 1897 a Ravenna, freque Giovanni Frignani nasce nel 1897 a Ravenna, frequenta l’Accademia Militare di Modena, poi entra nell’Arma dei Carabinieri. Durante la Prima guerra mondiale combatte come ufficiale dell’Esercito italiano. Negli anni Trenta, lavora a Roma nei servizi di sicurezza del regime. È ufficiale dei Carabinieri, ma non è un uomo di Mussolini, fa parte dell’apparato ma ne rappresenta l’anima legalitaria.

La notte del 25 luglio 1943, dopo il voto del Gran Consiglio e la firma del Re che solleva Mussolini dal comando, Giovanni Frignani riceve un incarico storico: arrestare Benito Mussolini. Frignani si reca a Villa Savoia, dove il Duce ha l’ultimo colloquio con il re Vittorio Emanuele III. All’uscita gli comunica: “Eccellenza, debbo pregare Vostra Eccellenza di venire con noi.” L’arresto avviene senza clamore, ma segna la fine di vent’anni di dittatura fascista. 

Dopo l’8 settembre 1943, Roma cade sotto occupazione tedesca e Frignani rifiuta ogni collaborazione con i nazisti. Decide di entrare nella clandestinità divenendo tra gli organizzatori della “Banda Caruso”, una rete antifascista interna all’Arma dei Carabinieri che raccoglie informazioni e mantiene i contatti con il CLN e gli Alleati. Nel dicembre 1943 viene arrestato dalla Gestapo e portato a via Tasso, sede del famigerato carcere delle SS a Roma. Qui subisce torture ma rimane in silenzio. Il 24 marzo 1944 dopo l’attentato partigiano di via Rasella, i nazisti ordinano la rappresaglia: dieci italiani per ogni tedesco ucciso. Giovanni Frignani è incluso nella lista dei martiri delle Fosse Ardeatine. Muore insieme ad uno dei suoi collaboratori più stretti, il tenente colonnello Ugo de Carolis.

Giovanni Frignani ha servito lo Stato sotto il fascismo, ma non è mai stato fascista. È stato insignito postumo della Medaglia d’Oro al Valor Militare, con una motivazione che ne riassume il senso: “Con stoico contegno e assoluta fermezza seppe mantenere, anche sotto tortura, il più alto onore del soldato italiano”.

Autore Content: Mattia Mastrolia @_mastroliamattia_

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#dossierdifesa #Carabinieri #difesa #forzearmate
Il Fiat 3000 è stato il primo carro armato prodot Il Fiat 3000 è stato il primo carro armato prodotto in serie in Italia, simbolo della transizione del Regio Esercito verso una nuova era di meccanizzazione e innovazione militare.

Derivato dal modello francese Renault FT, ne riprendeva la struttura leggera e la torretta girevole, ma fu profondamente rielaborato per rispondere alle esigenze italiane, diventando una piattaforma versatile e robusta. Entrato in servizio nel 1921, si dimostrò subito un mezzo affidabile, tanto da rimanere in dotazione per oltre vent’anni, partecipando anche agli scontri della Seconda Guerra Mondiale, nonostante la sua evidente obsolescenza. 

La versione Mod. 30, dotata di un cannone da 37mm, ne aumentò la potenza di fuoco, rendendolo adatto anche a ruoli di supporto in contesti coloniali e di difesa del territorio. Curiosamente, il Fiat 3000 attirò l’attenzione di altri eserciti: alcuni esemplari furono esportati e studiati anche in Giappone, contribuendo allo sviluppo di mezzi corazzati leggeri in Asia. Fu persino proposta una variante lanciafiamme, mai entrata in produzione, che testimonia l’interesse continuo per la sua evoluzione. 

Anche se superato dai nuovi modelli, il Fiat 3000 restò in servizio fino allo sbarco alleato in Sicilia, quando fu utilizzato in azioni difensive dimostrando ancora una volta la sua solidità. La sua eredità va ben oltre il campo di battaglia: fu una vera scuola per le future generazioni di progettisti italiani e un riferimento per l’industria bellica nazionale. Con il Fiat 3000 nacque una nuova concezione di guerra motorizzata, che avrebbe influenzato profondamente la dottrina militare del Novecento.

Autore Content: @luckydalena 

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#dossiersifesa #difesa #FIAT3000 #FIAT #forzearmate #tecnologiamilitare #carroarmato #esercitoitaliano #militaryhistory #armoredvehicles #storiaitaliana #italianmilitary
L'Operazione Gabinia è una missione della Marina L'Operazione Gabinia è una missione della Marina Militare Italiana avviata nel 2020 nel Golfo di Guinea, per contrastare fenomeni di pirateria largamente diffusi in quest’area.

L'operazione mira a garantire la sicurezza delle rotte commerciali e a tutelare gli interessi nazionali italiani, promuovendo al contempo la cooperazione con le marine dei paesi rivieraschi e partner internazionali. 

La missione comprende, inoltre, iniziative di carattere umanitario e solidale a favore delle popolazioni locali, come nel caso della Nave Borsini, che ha trasportato un carico di farmaci e beni di prima necessità per le popolazioni che abitano il Golfo di Guinea.

Autore Content: Enrico Tommaso Larganà @enrilargana

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#dossierdifesa #difesa #sicurezza #military #operazionegabinia #pirateria  #marinamilitareitaliana #esercitoitaliano #difesanazionale #forzearmateitaliane #navy
Sono le 7.45 davanti alla fermata del tram n.7 di Sono le 7.45 davanti alla fermata del tram n.7 di Largo Belgio. Un uomo, tra la folla, si sta recando - come ogni mattina - al lavoro. Di lì a qualche minuto scoppia il caos: tre colpi raggiungono alla schiena Rosario Berardi, che cade a terra, mentre il gruppo di fuoco delle Brigate Rosse si avvicina per freddare vigliaccamente il Maresciallo. Altri quattro proiettili lo raggiungono al capo e alle braccia, lasciandolo esanime. 

I quattro membri del commando, Patrizio “Mauro” Peci, Nadia “Marta” Ponti, Cristoforo “Sergio” Piancone e Vincenzo “Filippo” Acella, dopo aver minacciato gli astanti con un mitra, scappano su una Fiat 128 blu e fanno perdere le loro tracce. 

L’uccisione avviene poco prima dell’udienza del primo processo contro le Brigate Rosse. 
Il Maresciallo Berardi verrà insignito l’anno seguente della Medaglia d’oro al valor civile per il grande valore dimostrato fino all’estremo sacrificio.

Lascia la moglie Filomena e cinque figli, donando la vita per il Paese.

Autore Content: Alessandro Barbato @_alessandro_barbato
Autore Grafica: Fabio Maina

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#dossierdifesa ##fattiperlastoria #9maggio #aldomoro #storiacontemporanea #nucleiarmatirivoluzionari #storia #2giugno #democraziacristiana #festadellarepubblica
La genesi del progetto si può far risalire agli a La genesi del progetto si può far risalire agli anni ’30, quando due palombari ufficiali della Regia Marina, Teseo Tesei ed Elios Toschi, lavorarono alla progettazione di un siluro “umano” in grado di trasportare operatori subacquei sotto la superficie marina. I due pensarono a un veicolo che potesse muoversi lentamente per eludere le difese naturali e artificiali e trasportare una testata esplosiva da posizionare sulla carena della nave bersaglio per affondarla. Numerosi furono i tentativi di copia del mezzo, dai “Kaiten” nipponici ai “Chariot” britannici.

I Siluri a Lenta Corsa avevano molte limitazioni riscontrate durante le operazioni e grazie a nuovi studi commissionati dalla Xa Mas, sotto la supervisione della Direzione Armi Subacquee di La Spezia, venne realizzato il Siluro San Bartolomeo, che prese il nome del cantiere costruttore. Nel 1943 ebbero luogo le prime prove in acqua che evidenziano significativi progressi nella condotta del mezzo in superficie e soprattutto in immersione a differenza degli SLC.

Rispetto al SLC, esso aveva una sagoma molto più massiva mentre la lunghezza era praticamente sovrapponibile. Con l’Armistizio non si riusci’ ad uscire dalla fase prototipica e il “San Bartolomeo” non vide mai l’azione.

Autore Content: Niccolò Maria Matteini @niccolomatteini_
Autore Grafica: Ivan Masevski @ivan.mase

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#maiale #secondaguerramondiale #goi #DossierDifesa #Sommergibile #Marinamilitare #impresadialessandria #navy
Nel marzo del 1994, il Ruanda era sull’orlo del Nel marzo del 1994, il Ruanda era sull’orlo del collasso. La guerra civile tra Hutu e Tutsi aveva fatto precipitare il Paese in una spirale di violenza incontrollabile. In questo scenario drammatico, l’Italia decise di intervenire con rapidità e decisione. Nacque così l’Operazione Ippocampo, con un obiettivo preciso: mettere in salvo cittadini stranieri, tra cui molti italiani, bloccati in un territorio devastato dal conflitto.

Nonostante le difficoltà logistiche, il pericolo costante e il caos sul terreno, il primo intervento fu un successo: decine di civili furono evacuati in sicurezza grazie a un’azione condotta con precisione, sangue freddo e spirito di servizio.

Ma non era finita. A distanza di poche settimane, una seconda fase della missione portò il contingente italiano in Uganda, per offrire assistenza umanitaria a decine di profughi ruandesi, tra cui moltissimi bambini in condizioni disperate. Cure mediche, supporto logistico e un ponte aereo verso l’Italia furono la chiave per salvare vite. 

L’Operazione Ippocampo non fu solo una risposta militare, fu un esempio concreto di solidarietà internazionale.

Autore Content: Sara Torricelli @sara.torric

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#dossierdifesa #difesa #sicurezza #OperazioneIppocampo #Kigali #Kampala #Ruanda #guerracivile #missioneinternazionale #paracadutisti #Folgore #Gruppo Operativo Incursori #Marinamilitare #C130
La notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1995 l'uff La notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1995 l'ufficiale della capitaneria di porto di Reggio Calabria Natale De Grazia è in viaggio con due colleghi verso il Nord Italia. 
Il capitano di corvetta De Grazia ha con sé la sua valigetta nera: all’interno, deleghe di indagine firmate dal sostituto procuratore di Reggio Calabria Franco Neri e dal procuratore Francesco Scuderi, il giorno prima, per indagare sulle cosiddette "navi a perdere". 

De Grazia, però, non arriverà mai a destinazione: il viaggio si concluderà presto, all’ospedale di Nocera Inferiore (Sa), sotto la pioggia battente, dove il capitano morirà “inaspettatamente”, dopo la cena in un ristorante a Campagna.
Nel 2012, da un'ulteriore perizia, viene accertata la morte per ingestione di sostanze venefiche.

De Grazia, nato a Catona, dopo aver prestato servizio in Libano durante la guerra civile, a Vibo Valentia, Reggio Calabria e Carloforte, ritorna a Reggio Calabria. Mentre presta servizio alla Capitaneria, nei primi mesi del 1995 il sostituto procuratore di Reggio Calabria Franco Neri richiede la sua presenza. Dal marzo 1994, Neri coordina le indagini su traffici di rifiuti e affondamenti di navi con carichi sospetti nel Mediterraneo. “Navi a perdere”, così le ha chiamate un indagato. Un sistema di occultamento di rifiuti pericolosi e radioattivi tramite affondamento doloso delle navi che li trasportano. 

De Grazia accetta e inizia a collaborare con la procura. In poco tempo le indagini subiscono un’accelerazione. Perquisizioni, interrogatori e documenti validi consentono di mettere a fuoco quello che, secondo l’accusa, è a tutti gli effetti un grosso traffico di materiale nucleare. Non solo scorie ma materiale riutilizzabile. Accelera l’indagine e nascono i primi sospetti, le prime tensioni. I magistrati notano di essere seguiti. Qualcuno sta loro con il fiato sul collo. Secondo alcuni, c’è una talpa all’interno della procura, qualcuno che fa il doppio gioco. Forse anche per questo in pochi sanno di quella missione, l’ultimo viaggio di Natale De Grazia.

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Autore Content: Riccardo Musci @riccardomusci

#guardiacostiera #nataledegrazia #tuteladelmare #difesa #dossierdifesa
L’innovazione tecnologica non è fine a sé stes L’innovazione tecnologica non è fine a sé stessa, ma richiede competenze nuove, approcci interdisciplinari e una mentalità orientata al cambiamento continuo. Per valorizzare appieno le nuove capacità, è indispensabile adattare non solo le strutture organizzative e i percorsi formativi, ma anche i modelli culturali all’interno del Comparto di Difesa. In tale prospettiva, il concetto di prontezza operativa deve essere ridefinito ponendo l’accento sull’acquisizione di competenze multidisciplinari in grado di adattarsi alla natura mutevole delle minacce contemporanee.

In questo scenario, l’evoluzione del modello addestrativo cyber delle Forze Armate Italiane costituisce una componente essenziale del rafforzamento della postura nazionale nel dominio digitale. L’adozione di un modello formativo che integra esercitazioni avanzate, percorsi accademici specialistici e pratiche operative consolidate permette di costruire un capitale umano altamente qualificato, pronto ad affrontare le sfide di un ambiente cibernetico in costante mutamento. Questo modello non si limita all’acquisizione di competenze tecniche, ma promuove la diffusione di una cultura strategica condivisa, condizione essenziale in un contesto in cui i meccanismi di sicurezza e di difesa non dipendono più solo dalla creazione di tecnologie innovative ma anche dalla capacità di proteggerle, adottando un approccio trasversale in materia.

Autore Content: Andrea Vacca (@_andreavacca_)

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#dossierdifesa #forzearmateitaliane #esercito #Polizia #Carabinieri #microcriminalità #GdF #prossimità
Il poliziotto di prossimità non è semplicemente Il poliziotto di prossimità non è semplicemente un agente addetto al controllo del territorio, ma una figura che deve conoscere in profondità l’ambiente in cui opera. Il suo compito è quello di individuare in anticipo possibili criticità e intervenire in modo mirato per prevenire situazioni di disagio sociale o problemi di ordine pubblico. Questo ruolo può essere ricoperto da membri di diverse forze dell’ordine che operano stabilmente in una determinata area urbana, diventando un riferimento riconoscibile per i cittadini e un collegamento diretto con le istituzioni.👮‍♀️👮

Questo modello non si limita al semplice controllo del territorio, ma costituisce un mezzo per comprendere più a fondo i bisogni locali, instaurare un dialogo continuo con i cittadini e consolidare un rapporto di fiducia reciproca. La figura del poliziotto di prossimità permette infatti un’interazione diretta e costante, utile ad affrontare con maggiore efficacia le criticità del contesto urbano e favorire la costruzione di un ambiente più sicuro e condiviso.

Autore Content: Andrea Vacca @_andreavacca_
Autore Grafica: Nicola Marzotto @nicolamarzotto

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#dossierdifesa #forzearmateitaliane #esercito #Polizia #Carabinieri #microcriminalità #GdF #prossimità
La carriera militare del Generale dalla Chiesa com La carriera militare del Generale dalla Chiesa comincia nel 1941 quando si arruola nel Regio Esercito prendendo parte alla campagna dei Balcani per poi entrare, nel 1942, nell’Arma dei Carabinieri. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, assume un ruolo attivo nella Resistenza, ricoprendo incarichi direttivi all'interno della "Brigata Patrioti Piceni". Guida gruppi partigiani impegnati nella lotta contro l’occupazione tedesca e, contemporaneamente, si assume la responsabilità per la gestione delle comunicazioni radio con gli Alleati.

Negli anni Settanta, da Generale dell’Arma, si trova in prima linea nella lotta contro il terrorismo. Fonda il Nucleo Speciale Antiterrorismo a Torino, ottenendo importanti successi, tra cui l’arresto di figure chiave delle Brigate Rosse come Renato Curcio e Alberto Franceschini. Nel 1978 viene nominato Coordinatore nazionale per la lotta al terrorismo e nel 1981 diventa Vice Comandante Generale dei Carabinieri.

Durante la sua carriera è impegnato in incarichi investigativi in varie città italiane, distinguendosi nel contrasto alla criminalità, soprattutto in Sicilia, dove, nel 1982, viene nominato Prefetto di Palermo con poteri speciali contro la mafia. Conscio della trasformazione della mafia in potere economico-politico, avvia una strategia fondata sulla raccolta di informazioni, la rottura del consenso sociale nei confronti di Cosa Nostra e il coordinamento delle forze dell’ordine. 
Tuttavia, il 3 settembre 1982 viene assassinato insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente Domenico Russo in un agguato mafioso a Palermo.

Carlo Alberto dalla Chiesa è un esempio straordinario di rigore morale, coraggio istituzionale e profondo senso dello Stato. Simbolo di determinazione e della lotta contro terrorismo e mafia, sacrificando la propria vita per difendere i valori repubblicani, gli sono state conferite diverse onorificenze tra cui la Medaglia d’Oro al Valor Civile alla Memoria a dimostrazione del suo servizio a protezione dell’integrità dello Stato italiano.

Autore Content: Andrea Vacca @_andreavacca_
Autore Grafica: Nicola Marzotto @nicolamarzotto

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#esercito #Carabinieri #antimafia
Oltre all’immenso valore politico e culturale, i Oltre all’immenso valore politico e culturale, il viaggio della Magenta fu una missione scientifica di grande rilievo. 

Tra i 297 membri dell’equipaggio vi era anche un team di esperti naturalisti italiani guidato da Enrico Hillyer Giglioli e Filippo De Filippi, che raccolse migliaia di reperti animali e vegetali, molti dei quali sono ancora oggi custoditi al Museo di Scienze Naturali di Torino. Un patrimonio di osservazioni meteorologiche, geografiche e antropologiche che contribuì ad arricchire la conoscenza del mondo del tempo, ma che forse non ottenne tutto il riscontro sperato.

Autore Content: Enrico Tommaso Larganà @enrilargana

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#dossierdifesa #difesa #sicurezza #military #girodelmondo #Pirocorvetta #Magenta #marinamilitareitaliana #esercitoitaliano #difesanazionale #forzearmateitaliane #navy
Il Mediterraneo è una regione strategica per la s Il Mediterraneo è una regione strategica per la sicurezza globale, ma oggi affronta sfide complesse come instabilità politica, conflitti regionali, migrazioni forzate, terrorismo e cambiamenti climatici. L'influenza crescente di attori esterni come la Russia, la Cina e gli Stati Uniti ha complicato ulteriormente il panorama geopolitico🗺

Nonostante ciò, la regione resta cruciale per la stabilità dell'Europa, e la NATO lo riconosce attraverso iniziative come il Dialogo Mediterraneo, che promuove la cooperazione tra i Paesi della regione e l'Alleanza Atlantica.

Con la guerra in Ucraina, l'attenzione della NATO si è spostata verso Est, riducendo l'importanza strategica del Mediterraneo. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha aggiunto incertezze sulla politica estera statunitense, accentuando il disimpegno da alcune aree chiave, tra cui il Mediterraneo.

Per l’Italia, il Mediterraneo resta un pilastro fondamentale della politica estera. Nonostante la diminuzione dell'attenzione della NATO, l’Italia ha l’opportunità di consolidare il proprio ruolo attraverso iniziative come il Piano Mattei per l'Africa e la promozione di partenariati con i Paesi della regione MENA. Le recenti nomine, come quella dell'Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone a Presidente del Comitato Militare NATO, rafforzano ulteriormente la posizione dell'Italia. Tuttavia, resta necessario rafforzare la leadership europea nella NATO per mantenere alta l'attenzione sulla regione.

Il Mediterraneo continua a essere un'area cruciale per la sicurezza e la stabilità globale. La NATO dovrà decidere se rinnovare il proprio impegno per evitare che la regione diventi terreno fertile per nuove crisi geopolitiche.

Per l'approfondimento, visita il link in bio 📖

Autore: @luckydalena
«Muoio contento di aver fatto soltanto il mio dov «Muoio contento di aver fatto soltanto il mio dovere d’italiano. […] Cara consorte, insegna ai nostri figli che suo padre fu prima italiano, poi padre e poi uomo». Così Nazario Sauro scrisse in una lettera alla moglie circa un anno prima della sua morte.

Il profondo senso di appartenenza all’Italia e gli ideali a essa connessi di unità, libertà e democrazia per Nazario Sauro saranno concetti in virtù dei quali egli combatterà fino alla fine dei suoi giorni. Capodistria, città natale di Nazario Sauro, si presentava infatti come un territorio con impronte importanti di italianità. Sauro la definiva italiana e come tale avrebbe dovuto andare incontro a un necessario processo di liberazione dal dominio asburgico e di annessione al Regno d’Italia.

Con il passare degli anni Nazario Sauro nasconderà sempre meno i suoi sentimenti italiani e irredentisti. Nel 1913, infatti, inizierà a coprire il ruolo di informatore circa le attività della Marina Austriaca. Tutto questo porterà le autorità austriache a prendere provvedimenti.

Nel corso del primo conflitto mondiale, dopo essersi schierato con il Regno d’Italia e dopo essersi arruolato come ufficiale nella Regia Marina, Nazario Sauro proporrà uno stile di combattimento completamente moderno rispetto all’epoca. Egli progetterà azioni di sabotaggio e proporrà progetti tecnico-militari abbattendo così il morale della Marina austriaca.

Nazario Sauro sarà condannato per alto tradimento e giustiziato mediante impiccagione nella calda e afosa mattina del 10 agosto del 1916. Verrà seppellito a Pola, in terreno sconsacrato.

Nel 1919, Re Vittorio Emanuele III gli conferirà “motu proprio” la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

Dal 9 marzo del 1947 Nazario Sauro riposa nel Tempio Votivo del Lido di Venezia. La sua tomba è rivolta verso la terra istriana, ossia verso quell’ideale di libertà a cui dedicò incessantemente tutta la sua esistenza.

Autore Content: Erika Baini @erika_baini 

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#dossierdifesa #difesa #italia #nazariosauro #primaguerramondiale #interventismo #irredentismo #risorgimento #mazzini #dantealighieri #regiamarina #marinamilitare
In un contesto segnato dal cambiamento climatico e In un contesto segnato dal cambiamento climatico e da eventi estremi sempre più frequenti, le capacità operative delle Forze Armate italiane non si limitano alla dimensione militare tradizionale. C’è un fronte interno su cui l’Esercito interviene sempre più spesso: quello della gestione delle emergenze ambientali.

Accanto a mezzi e tecnologie, ciò che davvero fa la differenza è la formazione specifica del personale, sempre più orientata ad affrontare scenari civili ad alta complessità. Negli ultimi anni l’addestramento militare ha incorporato moduli dedicati alle catastrofi naturali, alla risposta CBRN (chimica, biologica, radiologica e nucleare), alle operazioni in contesti urbani danneggiati da calamità e alla logistica avanzata in territori isolati. Questi percorsi formativi non sono condotti in autonomia. Spesso prevedono la collaborazione con attori chiave del sistema Paese: Protezione Civile, Vigili del Fuoco, Croce Rossa, istituti di ricerca ambientale, fino a simulatori NATO per scenari transfrontalieri.

La multidisciplinarietà è oggi una componente essenziale della preparazione. I soldati devono essere in grado di operare in sicurezza in ambienti contaminati,agire rapidamente in caso di evacuazioni, gestire flussi di sfollati e costruire infrastrutture temporanee.

Tutto questo avviene all’interno di un quadro che riconosce sempre di più la natura “dual-use” delle Forze Armate, capaci cioè di operare sia in contesti militari che civili, a tutela del territorio e delle persone. L’Esercito non è più solo strumento di difesa da una minaccia esterna ma diventa anche attore strategico nella risposta nazionale ai disastri ambientali. E la formazione è ciò che rende tutto questo possibile.

Autore content: Dott. Mattia Mastrolia @_mastroliamattia_

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#dossierdifesa #difesa #esercitoitaliano #emergenzeambientali #cambiamentoclimatico #italianarmy #italia #esercitoeambiente #forzearmate #greenmilitary #culturadifesa #approfondimento #divulgazionemilitare
Entrato in servizio nel 2013, il SAMP/T è stato i Entrato in servizio nel 2013, il SAMP/T è stato impiegato in numerose operazioni sia a livello addestrativo che operativo. Tra le missioni più rilevanti si annovera il suo schieramento a Roma tra il 2015 e il 2016 per garantire la sorveglianza dello spazio aereo della Capitale in occasione del Giubileo Straordinario della Misericordia. 

L’esperienza operativa accumulata ha reso il SAMP/T un elemento cardine delle capacità di difesa aerea italiana, portando il Paese a rafforzare ulteriormente il ruolo anche al di fuori dei confini nazionali.  In questo contesto, il sistema missilistico italo-francese ha operato attivamente in diversi scenari internazionali tra cui la missione NATO “Active Fence” in Turchia, l’operazione “Inherent Resolve" in Kuwait e la missione “Enhanced Vigilance Activity” in Slovacchia. 

Autore Content: Andrea Vacca @_andreavacca_
Autore Grafica: Fabio Maina

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#dossierdifesa #forzearmateitaliane #esercito #Turchia #SAMP/T #NATO #Francia #Italia
Il Gen. Vincenzo Camporini è nato a Como il 21 gi Il Gen. Vincenzo Camporini è nato a Como il 21 giugno 1946 e si è arruolato in Accademia Aeronautica nel 1965 con il corso 'Drago III’. 
Ha terminato gli studi con il grado di Sottotenente nel 1969, conseguendo la Laurea in Scienze Aeronautiche presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II e nel 2004 si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università degli Studi di Trieste, con la votazione di 110 e lode. 

Ha iniziato la sua carriera nell’Aeronautica Militare e, preso il brevetto di pilota militare, ha prestato servizio per molti anni come pilota F-104 RECCE presso il 3° Stormo di Villafranca.

Dopo aver svolto diversi incarichi di comando, dall’aprile del 2001 al febbraio del 2004 il Generale Camporini è stato Sottocapo di Stato Maggiore della Difesa per poi diventare, nel marzo 2004, Presidente del Centro Alti Studi della Difesa, incarico ricoperto fino a settembre 2006, quando ha assunto l'incarico di Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare.

Dal 12 febbraio 2008 al 17 gennaio 2011 è stato Capo di Stato Maggiore della Difesa.

Il Generale Camporini è un pilota con esperienza di volo su 24 differenti tipi di aeromobile, inclusi l'F104, il Tornado, l'AMX, velivoli da trasporto plurimotore ed elicotteri e, al 31 dicembre 2006, detiene oltre 2600 ore di volo.

Autore Content: Avv. Valentina Abati (@vale_hime)

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#Difesa #GeneraleCamporini #aeronauticamilitare #freccetricolori #esercitoitaliano #centroaltistudidelladifesa #statomaggioredelladifesa #ministerodelladifesa
Il 4º Reggimento Alpini Paracadutisti è qualific Il 4º Reggimento Alpini Paracadutisti è qualificato per svolgere operazioni complesse e sensibili, spesso condotte in contesti ostili e ad alta criticità.
I suoi membri sono selezionati e addestrati per affrontare missioni che richiedono non solo una straordinaria preparazione fisica e mentale, ma anche elevate capacità operative, adattabilità e prontezza d’azione in ogni tipo di ambiente.

Si occupano di operazioni di ricognizione in ambiente montano, supporto diretto alle altre unità delle Forze Speciali, operazioni antiterrorismo e di controinsurrezione.

Ma anche di assistenza umanitaria in regioni difficilmente accessibili, garantendo la protezione delle popolazioni locali e facilitando le operazioni di soccorso.

Scorri il post per scoprire la storia del Reggimento!

Autore Content: Avv. Valentina Abati @vale_hime 

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#dossierdifesa #paracadutisti #militaryforces #parà #vfp4 #vfp1 #lagunari #incursori #esercito #forzearmate #soldato #italiansoldier #italiamilitare #militariitaliani #soldier #esercitoitaliano #alpini #marinamilitare #fanti #militari #fanteria #guastatori #montecervino
«Militare fatto prigioniero o civile perseguitato «Militare fatto prigioniero o civile perseguitato per ragioni politiche o razziali, internato in campi di concentramento in condizioni di vita inumane, sottoposto a torture di ogni sorta, a lusinghe per convincerlo a collaborare con il nemico, non cedette mai, non ebbe incertezze, non scese a compromesso alcuno; per rimanere fedele all’onore di militare e di uomo, scelse eroicamente la terribile lenta agonia di fame, di stenti, di inenarrabili sofferenze fisiche e soprattutto morali. Mai vinto e sempre coraggiosamente determinato, non venne meno ai suoi doveri nella consapevolezza che solo così la sua Patria un giorno avrebbe riacquistato la propria dignità di nazione libera.» 

Queste sono le motivazioni con cui, nel 1997, il Presidente della Repubblica Luigi Scalfaro ha conferito la Medaglia d’Oro al Valor Militare all’Internato Ignoto, un riconoscimento simbolico volto a onorare il sacrificio e la dignità degli Internati Militari Italiani, i quali rifiutarono l’adesione alla Repubblica Sociale Italiana e alla collaborazione con l’occupazione nazista, pur sapendo a quali gravi conseguenze sarebbero andati incontro.

Questa onorificenza è intesa non solo a ricordare i trattamenti disumani subiti nei campi di prigionia, ma soprattutto a premiare un coraggio a lungo dimenticato, restituendo piena memoria alla scelta di resistere a un’ideologia oppressiva, nonostante le tentazioni e la promessa di condizioni più favorevoli. 

Autore Content: Andrea Vacca @_andreavacca_ 
Autore Grafica: Ivan Masevski @ivan.mase

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#dossierdifesa #forzearmateitaliane #esercito #IMI #InternatiMilitariItaliani #resistenza #WW2
Nato a Torino nel luglio 1883, Giovanni Randaccio Nato a Torino nel luglio 1883, Giovanni Randaccio inizia la sua carriera nella Scuola Militare di Modena, percorso che lo porterà a diventare uno degli ufficiali più emblematici del primo conflitto mondiale. Con l’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, nel 1915, Randaccio si trova già al fronte, al comando di una compagnia del 63º Reggimento con il grado di Capitano. Nella Prima Battaglia dell’Isonzo, si distingue in un’azione eroica sul Monte Sei Busi nel 1915, che gli vale la prima medaglia d’argento al Valor Militare.

Promosso Maggiore, a Randaccio viene affidato un compito cruciale e pericolosissimo: guidare l’attacco a Quota 28, oltre il fiume Timavo. Un’operazione complessa e disperata, che richiede coraggio e determinazione. I reparti italiani riescono a conquistare la quota, ma la passerella di attraversamento crolla, isolandoli dal resto del contingente, e vengono catturati dalle truppe Austro-Ungariche. Randaccio, sempre in prima linea, viene colpito da una raffica di mitragliatrice.

Subito soccorso e trasportato verso l’Ospedale Militare di San Giovanni al Timavo, si spegne nel 1917. Il suo corpo viene avvolto nel tricolore da D’Annunzio in persona che, in più occasioni lo aveva considerato un compagno d’armi e simbolo dell’eroismo Italiano. Per il suo estremo sacrificio, a Randaccio viene conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare, con la seguente motivazione:

“Manteneva sempre vivo nel suo battaglione quello spirito aggressivo col quale lo aveva guidato alla conquista di importanti posizioni nemiche. Attaccava quota 28, a sud del Timavo, con impareggiabile energia, e nonostante le gravi difficoltà, l’occupava. Subito dopo, colpito a morte da una raffica di mitraglia, non emise un solo gemito, serbando il viso fermo e l’occhio asciutto, finché fu portato alla sezione di sanità, dove soccombette, mantenendo, anche di fronte alla morte, quell’eroico contegno che tanto ascendente gli dava sulle dipendenti truppe quando le guidava all’attacco.”

Autore Content: Niccolò Maria Matteini @niccolomatteini_ 
Autore Grafica: Nicola Marzotto @nicolamarzotto 

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